AD ARIEL SHARON

A YASSER ARAFAT

ALL’AMBASCIATA ITALIANA A TEL AVIV

ALL’AMBASCIATA DI ISRAELE A ROMA

ALLA STAMPA

 

 

Italia, 27 dicembre 2001.

 

 

La polizia israeliana ci tiene segregati in stato di fermo per quattro ore.

Siamo indiziati di terrorismo.

È domenica 23 dicembre 2001.

Aeroporto di Tel Aviv.

 

Cos’è successo?

Quest’anno decido di passare il Natale in Palestina con Cheti.

Faccio acquistare i biglietti per gli ultimi due posti disponibili.

L’aereo di linea della compagnia israeliana El Al parte da Milano alle 12,30.

Costo del biglietto andata e ritorno oltre cinque milioni di lire.

Alle dieci siamo a Malpensa per il check-in.

All’ingresso, controllo dei passaporti.

Dopo dieci metri un altro controllo.

Ci avviciniamo allo sportello della El Al.

Una donna della sicurezza israeliana ci blocca.

Consegniamo i passaporti ed i biglietti.

Inizia con le domande.

 

Chiede «Quali sono i vostri nomi?»

Rispondiamo.

«Rodolfo Marusi Guareschi.»

«Cheti Franceschi.»

 

Chiede «Qual è la vostra data di nascita?»

Diciamo le nostre date di nascita.

 

Chiede «Che lavoro fate?»

Cheti risponde «Ci occupiamo di aziende.»

 

Chiede «Che tipo di aziende?»

Rispondo «In diversi settori: industria, servizi, finanza.»

 

Chiede «Dove sono queste aziende?»

Rispondo «In Italia ed in altri 178 paesi.»

 

Chiede «Quante aziende sono?»

Rispondo «Sono alcune migliaia» e le porgo alcuni fogli con l’elenco delle società e delle relative attività.

 

Chiede «Cosa producono queste aziende?»

Rispondo «Operano in diversi settori. Energia, elettronica, informatica … quasi tutti i settori economici ...»

 

Chiede «Avete un biglietto da visita?»

Cheti le porge un biglietto di Holos Holding, la società che ha garantito la prima emissione di Dhana, la moneta della Repubblica della Terra.

Io le porgo i biglietti da visita in inglese di Maguro S.p.A. e di  Avatar S.p.A., delle quali sono presidente, e quello della Repubblica della Terra.

Legge che il capitale sociale di Avatar S.p.A. è 155 miliardi di euro sottoscritti e versati e chiede «Cosa fa Avatar S.p.A.?»

Rispondo «È una holding di partecipazioni» e le faccio vedere l’originale del certificato di iscrizione al Registro delle Imprese tradotto in inglese con la postilla dell’Aja.

 

Chiede «Che cosa fa Maguro S.p.A.?»

Rispondo «È un’altra holding di partecipazioni.»

 

Chiede «Cos’è una holding di partecipazioni.»

Rispondo «È una società che detiene altre società. Maguro S.p.A. detiene società italiane. Avatar S.p.A. detiene società estere.»

 

Chiede «Viaggiate insieme?»

Rispondiamo «Sì.»

 

Chiede «Perché viaggiate insieme?»

Cheti risponde «Perché andiamo per lo stesso motivo».

 

Chiede «Che rapporti ci sono fra di voi?»

Cheti risponde «Siamo colleghi.»

Io aggiungo «Viviamo insieme.»

 

Chiede «Siete colleghi o vivete insieme?»

Rispondo «Viviamo insieme e facciamo lo stesso lavoro.»

 

Chiede «Da quanto tempo?»

Cheti risponde.

 

Chiede «Avete una valigia sola?»

Rispondiamo «Sì.»

 

Chiede «Perché andate in Israele?»

Rispondo «Per incontrare Sharon, Arafat e Yassin. Per presentare un progetto di pace.»

 

Esclama «Sharon? Il nostro primo ministro? Arafat? Avete già incontrato queste persone?»

Cheti risponde «No, solo un esponente dell’Autorità Nazionale Palestinese, in aprile.»

 

Chiede «Chi vi aspetta in Israele?»

Risponde Cheti: «Nessuno sa che andiamo. Per motivi di sicurezza.»

 

Chiede «Capisco. Siete già stati in Israele?»

Cheti risponde «Lo scorso aprile» e le indica i visti sui passaporti.

 

Vede tutti gli altri visti, molti di paesi islamici e chiede «Cosa siete andati a fare in Barhein, in Pakistan, in Egitto e in tutti questi altri paesi?»

Cheti risponde «Per promuovere aziende.»

Io aggiungo «E per gli stessi motivi per cui facciamo questo viaggio.»

 

Chiede «E cosa volete dire a Sharon?»

Rispondo: «Che bisogna fare la pace in Palestina. Come gli ho scritto.»

 

Chiede «In che senso?»

Rispondo «Io credo che le cause delle guerre siano sempre di carattere economico. Le etnie e le religioni sono solo pretesti. Noi abbiamo una proposta per risolvere o almeno per affrontare le cause economiche della guerra in Palestina.»

 

Chiede «Pensate che serva?»

Rispondo «Io penso che la pace non deve essere il risultato di un processo ma l’inizio di un processo.»

 

Chiede «Dove andate quando arrivate?»

Cheti risponde «A Gerusalemme» e le dice il nome dell’albergo.

 

Chiede «E poi dove andate?»

Rispondo «Da Tel Aviv a Gerusalemme. Stasera o domani mattina, vigilia di Natale, chiederemo di parlare con Sharon. Domani andremo anche a Ramallah ed a Gaza. Dopo domani, per Natale, vedremo. Il 26 ripartiremo da Tel Aviv per Milano.»

 

Chiede «Con chi parlerete?»

Rispondo «Noi andiamo in Palestina per parlare con le persone che le abbiamo detto.»

 

Chiede «Pensate che sia possibile?»

Rispondo «Spero di sì. Andiamo per questo. Voi ed i palestinesi insieme rappresentate poco più dell’uno per mille degli abitanti della Terra. Eppure da cinquant’anni il voi, il Medio Oriente, siete uno dei problemi più grandi del mondo. Abbiamo inviato delle lettere nei giorni scorsi.»

 

Chiede «Avete delle copie?»

Rispondo «Sì, alcune» e le faccio vedere le lettere a Sharon e ad Arafat.

 

Le legge. «Qualcuno vi aspetta?»

Rispondiamo che non ci aspetta nessuno.

 

Chiede «Chi ha fatto la valigia?»

Rispondiamo «Insieme.»

 

Chiede «A chi avete detto che andate in Israele?»

Rispondiamo «Solo ai famigliari. A nessun altro. Per motivi di sicurezza.»

 

Chiede «Qualcuno vi ha chiesto di portare qualcosa in valigia?»

Rispondiamo «No.»

 

Chiede «Avete altri documenti oltre ai passaporti?»

Le diamo le carte d’identità.

 

Chiede «Avete delle carte di credito?»

Le diamo delle “corporate” di Carisma S.p.A.

 

Chiede «Avete un biglietto da visita di questa società?»

Non ne abbiamo. Carisma S.p.A. non opera all’estero e non ne abbiamo portate.

 

Ci invita a seguirla in una stanza per il controllo del bagaglio a mano e della valigia.

Nella stanza ci sono altre persone della sicurezza. Uomini e donne.

Controllano attentamente il contenuto della borsa di Cheti e del mio borsello.

Consegniamo i cellulari.

Ci fanno togliere cappotti, giacche e scarpe.

Osservo «Fate bene. Avete pensato ai capelli lunghi?»

Un’addetta risponde «Certo.»

Veniamo perquisiti attentamente.

Ci chiedono di attendere.

 

Arriva un ispettore della polizia italiana.

Chiede «Come mai avete scelto di volare con El Al invece che con Alitalia?»

Cheti risponde «Perché il viaggio dura un’ora in meno. E poi la compagnia israeliana dovrebbe essere la più sicura.»

 

Chiede perché andiamo in Israele.

Gli ripetiamo quello che abbiamo detto alla donna.

 

Dice che ci sono dei problemi ma che farà quello che può per risolverli.

Chiede se abbiamo avuto problemi giudiziari per rapporti con paesi arabi.

Rispondiamo di no.

Dopo mezz’ora l’ispettore torna con i nostri passaporti e dice che è tutto a posto.

 

Arriva un’impiegata del check-in e un po’ imbarazzata dice che possiamo partire. Ma senza valigia.

 

Chiediamo il motivo. Dice che non lo sa. Lo chiede agli addetti alla sicurezza israeliana. Rispondono che non fanno in tempo a controllare la valigia. Dicono che arriverà a Tel Aviv con il volo del giorno dopo.

 

Cheti è titubante. Senza valigia non vuole partire. La convinco e decidiamo di partire ugualmente. Chiedo di avere almeno i documenti che sono in valigia. Accettano e mi danno la borsa con i documenti.

 

Cheti ha il suo cellulare nella borsa.

Chiedo il mio e mi rispondono che non riescono a controllare nemmeno i cellulari. Quindi arriveranno insieme alla valigia.

 

Cheti si rifiuta di partire senza telefoni. Insisto con il responsabile della sicurezza israeliana. Mi dice che in pochi minuti ci daranno i cellulari. L’impiegata del check-in va a dire che partiremo.

 

Faccio notare che dovrebbero controllare anche il cellulare di Cheti. Lo prendono. Mi ringraziano. Dopo qualche minuto un altro addetto ci dice che si sono sbagliati e non possono darci i cellulari.

 

Sono già le 13,20. L’aereo è in attesa di partire da un’ora. Veniamo sollecitati a decidere immediatamente se partire anche senza cellulari.

 

A malincuore, accettiamo di partire lo stesso. Ci danno una ricevuta per la valigia che trattengono. Chiedo la ricevuta anche dei cellulari. Rispondono che la daranno.

 

Nel correre verso il cancello d’imbarco accompagnati da un’addetta alla sicurezza mi viene in mente che potevamo prendere almeno le SIM CARD. Lo dico alla nostra accompagnatrice.

Telefona. Lo chiede al suo capo. Risponde va bene. Un attimo prima del decollo arrivano le nostre SIM CARD. Manca quella del satellitare ma in Israele non dovrebbe servire.

Il problema sarà a Gaza. Non importa. Partiamo.

 

Decolliamo alle 13,40. Viaggiamo benissimo. Arriviamo alle 17.50 locali. Il fuso orario di Tel Aviv è avanti di un’ora. Siamo in orario. Il viaggio è durato circa tre ore invece delle quasi quattro previste.

 

Scendiamo dall’aereo ed entriamo in aeroporto. Siamo senza bagagli.

Primo controllo dei passaporti. Va bene.

Secondo controllo. Va bene.

Andiamo all’ufficio per i bagagli smarriti. Spieghiamo l’accaduto e facciamo vedere la ricevuta della valigia. Ci danno duecento dollari di risarcimento per il disguido.

 

Stiamo per uscire quando due poliziotti ci fermano.

Riprendono le domande.

Rispondiamo sempre le stesse cose.

Ci invitano a seguirli.

Ci fanno entrare in due uffici separati.

Mi chiedono la copia della lettera a Sharon.

Da chi erano stati informati?

La mostro.

La leggono.

Chiamano un loro superiore.

Arriva. Legge la lettera e sta per allontanarsi per fare una fotocopia.

Gli dico che non è legittimo trattenere copie di documenti.

 

Lui si agita e mi aggredisce verbalmente dicendomi che non sono in Italia e che in Israele comanda la polizia. Minaccia di arrestarmi. Lo invito a calmarsi e gli dico che sta commettendo un errore. Lui si agita ancora di più. Gli dico che la polizia può perquisirmi e controllare il contenuto della borsa dei documenti ma non fare fotocopie. Mi risponde che in Israele lui può fare quello che vuole.

 

Nel frattempo, in un altro ufficio, la stessa scena accade con Cheti. Prima le viene detto che il suo passaporto è falso. Controllano altri documenti. Le viene intimato di sedersi. Poi uno dei due poliziotti che ci avevano fermati l’accompagna in un’altra stanza piena di poliziotte.

 

Ad una di esse il poliziotto dice che Cheti può essere una terrorista e che non deve parlare con nessuno.

 

Intanto, nell’ufficio in cui mi trovo, tutti i documenti vengono riversati su una scrivania. Sono scritti in inglese ed in arabo. Vengono letti.

 

Chiedono «Che rapporti avete con i palestinesi?»

Rispondo «Io amo il popolo palestinese, il popolo di Israele e tutti gli altri popoli.»

 

Chiedono «Che proposta volete fare?»

Rispondo «Che sia immediatamente proclamato lo Stato di Palestina sui territori sotto giurisdizione palestinese e con capitale provvisoria in una città diversa da Gerusalemme. Secondo la risoluzione dell’ONU del 1947 Gerusalemme dovrebbe essere capitale indipendente. Gerusalemme è un pretesto per impedire la pace. Arafat dovrebbe pensare al suo popolo più che alla capitale. Gerusalemme non è un problema che possono risolvere solo israeliani e palestinesi. È la capitale di diverse religioni. Sono tutti gli stati in sede ONU che devono decidere.»

 

Mi guardano come fossi un nemico.

Mi chiedono «E la Repubblica della Terra?»

Rispondo «Visto che gli stati non sono capaci di risolvere o non vogliono affrontare la povertà, la fame, le guerre e tanti altri problemi, bisogna formare un governo mondiale ripartendo dal basso, dalla gente.»

 

Guardano un fac-simile di Dhana e mi chiedono «Dhana? Perché Dhana?»

Rispondo «Una delle cause principali di tutti i problemi dell’umanità è l’errata distribuzione della ricchezza tra gli abitanti del pianeta. Dhana è lo strumento mediante il quale si può ridistribuire la ricchezza.»

 

Ci pensano un attimo.

Poi riferendosi ad Avatar chiedono «Ma questa società ha un capitale di 155 miliardi di euro. Sono circa 150 miliardi dollari. Cosa c’è dietro?»

Rispondo «C’è la volontà di cambiare. Di cambiare davvero. Solo questo.»

 

Dicono «Ma qui c’è scritto che oltre alle cento Dhana che verranno date a ciascun abitante della Terra ne saranno emesse altre. A chi? Ci vuole un capitale enorme …»

 

Rispondo «Sì. Sono state previste emissioni per coprire il debito estero dei paesi più poveri. Per la FAO. Per l’Afghanistan. E per altre iniziative umanitarie. I capitali? Abbiamo convinto diverse persone che così non si può più andare avanti. I capitali ci saranno. Ora ci sono i 155 miliardi di euro. Entro tre mesi ci saranno altri 850 miliardi di euro per una nuova emissione …»

 

Leggono le lettere a Bush e ad altri capi di stato e di governo.

Leggono una lettera aperta a Bin Laden e chiedono «Lo avete incontrato?»

Rispondo «Siamo andati due volte per farlo ma non è stato possibile. Forse è stato un errore di Omar …»

 

Leggono il progetto economico per Gaza. Commentano «Sono solo soldi che verranno dati ai terroristi.»

 

Chiedono «E Yassin? Perché vuoi incontrare Yassin?»

Rispondo «Per dirgli che con gli attacchi suicidi il popolo palestinese non avrà mai una terra e uno stato. Per invitarlo ad esaminare un’altra soluzione.»

 

Mi chiedono «Ma tu perché fai queste cose?»

Rispondo «Perché ci credo. Vivo per questo. Ci riuscirò.»

 

Un poliziotto raccoglie tutti i documenti sparsi sulla scrivania e li porta via per fotocopiarli.

Insisto «Secondo il diritto internazionale quello che state facendo con noi è illegittimo. Non c’è alcun indizio di alcun reato contro di noi. Potete non essere d’accordo con noi ma questo non vi autorizza a riservarci un trattamento del genere.»

 

Torna il poliziotto che mi aveva aggredito.

Gli chiedo «Voi volete la pace?»

Risponde «Come cittadino ti risponderei. Ma in questo momento io faccio il poliziotto e non posso farlo.»

 

Uno dei due poliziotti che ci hanno fermati all’uscita scrive in ebraico una specie di verbale in duplice copia e mi chiede di firmarlo. Non conosco la lingua e non so cosa c’è scritto. Insiste. Gli chiedo di avere una copia. Mi dice di sì. Firmo.

 

Mi accompagna nella stanza dove si trova Cheti che viene fatta sedere su un poltrona nel corridoio antistante. «Non parlare con lei» mi intima il poliziotto indicandomi Cheti.

 

Nella stanza in cui mi trovo c’è un televisore. Trasmette un telegiornale in ebraico. Vedo Sharon con altre persone in una specie di conferenza. Penso di aver già visto una di quelle persone ma non ricorso dove e quando. Chiedo ad una poliziotta chi è quella persona. Mi dice che è il governatore della banca centrale di Israele.

 

La poliziotta alla quale era stato detto che Cheti potrebbe essere una terrorista rimprovera la collega che mi ha risposto.

Passano due ore.

 

Chiedo una toilette. Dopo un quarto d’ora un poliziotto viene ad accompagnarmi. Prima di farmi rientrare nella stanza di fronte alla quale è seduta Cheti mi ripete «Non parlare con lei».

 

Siamo isolati. Chiedo di telefonare. Mi viene negato. Chiedo di fumare. Mi viene concesso.

 

Passa ancora del tempo, poi arrivano i poliziotti. Tutti insieme. Mogi mogi. Danno a Cheti la mia borsa vuota ed il pacco di documenti, Ci invitano a seguirli. Entriamo nell’atrio verso l’uscita dell’aeroporto. Con gli occhi bassi ci dicono «Potete andare».

Niente scuse.

Parlottano tra di loro in ebraico a testa bassa.

 

Appoggiamo borsa e documenti (tutti mischiati) su un tavolino.

Li controllo. Ci sono tutti. Li mettiamo nella borsa.

Chiediamo i nostri passaporti. Fanno finta di essersi dimenticati. Ce li danno. La copia del verbale no.

 

Usciamo. Ritirano il “passi” di Cheti. Si dimenticano di ritirare il mio.

Sono le 21,40. Prendiamo un taxi.

Alle 22,30 siamo in albergo a Gerusalemme.

 

Le nostre impressioni a caldo? Sembra che in Israele chi parla di pace sia scambiato per terrorista.

 

Comunque abbiamo a disposizione due giorni pieni.

 

Lunedì 24 dicembre. Acquistiamo un cellulare.

Con le nostre SIM non funziona. Ne prendiamo una locale.

Si possono selezionare solo tre lingue: ebraico, russo ed inglese.

 

Andiamo a Ramallah.

 

La sera, mentre siamo a Betlemme, la valigia arriva in albergo.

La troviamo al rientro. Il contenuto sembra passato sotto un tritasassi.

Solo i cellulari sono a posto.

 

La mattina di Natale andiamo a Gaza.

 

Mercoledì 26 dicembre. Ore 5,50. Siamo in aeroporto a Tel Aviv.

L’aereo parte alle 7,40.

Solita procedura. Passaporto, domande, risposte.

Viene perquisita Cheti, la sua borsa, la valigia, il mio cappotto.

Impiegano quasi due ore.

Cinque minuti prima di partire ci dicono che non sono in grado di controllare il satellitare. Dicono che lo potranno spedire fra qualche giorno.

Insistiamo ma è inutile. Saliamo sull’aereo.

Partiamo. Io e Cheti ci guardiamo.

Si sono completamente dimenticati di perquisirmi.

No comment.

 

Rodolfo Marusi Guareschi