Capitale virtuale e capitale reale

Il termine capitale deriva dall’aggettivo latino capitalis a sua volta derivato da caput, genitivo capitis, che significa capo, testa ma anche tutto ciò che è principale e da cui discendono le altre cose. In economia, il capitale è uno dei tre fattori della produzione, insieme a risorse naturali  e lavoro. Capitale significa ricchezza quale risultato della trasformazione delle risorse naturali in prodotto mediante il  lavoro. Quindi il capitale è fatto dall’uomo, mentre le risorse naturali ed il lavoro esistono in natura: le risorse naturali sono la terra con tutto ciò che in essa si trova e si può ricevere, compresa l’energia; il lavoro umano è manifestazione dell’energia dell’uomo.

Virtuale deriva dal latino virtus che significa virtù, facoltà, potenzialità. È un’entità che esiste in potenza e risponde in un certo modo ad un progetto. È una realtà immaginata, ideata, desiderata, voluta e costruita, prodotta dagli esseri umani e vissuta dagli stessi.

Reale deriva dal latino realem,  da res (cosa) con il significato di esistente, sostanziale, vero. Reali non sono soltanto le cose ma anche le idee e tutto ciò che è virtuale. Reale non va confuso con materiale, che deriva dal latino materia, da mater, sostanza prima della quale le altre sono formate, dal sanscrito matram, che significa cosa misurabile, dalla radice ma-, misurare ed anche preparare con la mano, con il senso di formare. Materiale è tutto ciò che occupa spazio, che ha corpo e forma. Quindi, esiste una realtà materiale (le cose) ed una realtà immateriale (l’energia, il pensiero, le idee) che forma la realtà materiale dalla quale hanno origine nuove realtà immateriali, in un processo che dura nel tempo.

Secondo il significato etimologico, il capitale virtuale è perciò il principio fondamentale che esiste e potenzialmente trasforma le risorse naturali reali materiali in capitale reale, cioè in ricchezza, mediante il lavoro. Perciò, il capitale virtuale non è altro che capitale reale immateriale che si trasforma in capitale reale materiale. Quindi, il capitale virtuale è mezzo per produrre capitale reale.

Come in tante altre occasioni, l’essere umano ha stravolto le condizioni della realtà considerando il capitale virtuale come fine e non come mezzo. Così, la moneta che doveva rappresentare mezzo di investimento e di scambio è stata ridotta a fine, mentre lo scambio è stato considerato mezzo per aumentare la moneta. La differenza è notevole. Considerando il capitale come mezzo, si fa leva sulla volontà di produrre di chi lavora. Considerandolo come fine, si fa leva sullo sfruttamento del lavoro, cioè sulla differenza fra il valore di mercato (prezzo al consumatore) dei prodotti ottenuti con il lavoro ed il valore riconosciuto al lavoro (salari ed oneri relativi) complessivamente prestato (dall’estrazione delle risorse alla distribuzione) per offrire quegli stessi prodotti sul mercato.

Per riportare il capitale alla sua funzione naturale di mezzo di produzione, nella forma virtuale (capitale virtuale) deve essere costituito da un’entità che rappresenti l’impegno a prestare il lavoro futuro necessario a produrre i beni e servizi (capitale reale) che con quella stessa entità saranno poi scambiati, in modo che il capitale virtuale coincida con il capitale reale: il primo è impegno o promessa di lavoro, il secondo è il risultato del lavoro. Il capitale reale, cioè il risultato della produzione, sarà poi in parte consumato ed in parte utilizzato insieme a nuovo capitale virtuale per produrre nuovo capitale reale.

Tradotto nel concreto, capitale virtuale e capitale reale devono essere rappresentati dalla stessa entità, cioè dalla stessa moneta. Questo se il sistema economico fosse al momento zero. Ma non è così. Oggi nel mondo esistono già sia capitale reale (beni prodotti) sia capitale virtuale (la moneta a corso legale) e la produzione richiede capitale in ambedue le forme. Per inserirsi nel momento attuale e nello stesso tempo modificare la situazione attuale, è necessario che la forma del capitale, la moneta, rappresenti non solo un impegno o una promessa di lavoro futuro (forma virtuale) ma anche i mezzi reali necessari a produrre e da questi sia garantita.

Perciò, Dhana, la moneta del lavoro è emessa per conto di chi si impegna a prestare lavoro e nello stesso tempo è garantita fin dalla emissione dal valore nominale di capitali reali d’impresa per un valore equivalente a quello di un grammo di platino per Dhana. Questa duplice rappresentazione di valore (il lavoro futuro ed i mezzi di produzione) assicura il valore reale, cioè il potere d’acquisto della moneta del lavoro.

Rodolfo Marusi Guareschi