Caro Pòstero,

quando leggerai queste righe, sempre che Te lo consentano, non sarò più con te. Perciò, voglio dirTi io, ora, la mia verità su quello che mi muove. Potrai giudicarla imperfetta ed avrai ragione. Ma stai attento alle verità che Ti piacciono di più. Se cercherai e se vorrai, potrai scoprirla anche Tu la verità, e non sarà molto diversa da quella che conosco io.

Ogni volta che mi occupo di Te devo reprimere l’istinto che mi porterebbe a pensare a me stesso ed a chi mi vuole bene. Ma riesco a trovare la forza per superare quest’egoismo atavico che mi porto dentro, anche perché Tu possa faticare meno di quelli che Ti hanno preceduto. Per Te, devo violare anche il probabile futuro che Ti attende.

Voglio dirTi la verità su quello che sento, affinché Tu non possa credere che tutti hanno cercato di impedirTi di venire al mondo e di avere il diritto di viverci lottando per essere felice. Qualcuno ha pensato a Te. e Tu hai il dovere di tenerne conto.

Da quando ho capito che siamo diventati talmente egoisti da non pensare più neppure ai nostri figli, dopo aver già abbandonato i nostri vecchi, ho fatto tutto quello che di buono è stato nelle mie possibilità, per dimostrare a tutti che è necessario e possibile modificare questo scenario di male, di dolore e di ingiustizia.

Tu dirai che ho fatto poco, dirai che cerco di convincerTi. Anch’io penso di aver fatto troppo poco ma non è vero che voglio convincerTi. Voglio soltanto che Tu possa esistere con la forza che deriva dall’intima consapevolezza che qualcuno non Ti ha dimenticato.

Ecco perché ho fatto del mio meglio. Ma si trattava di reinventare un futuro diverso dalla storia, senza, purtroppo, conoscere in anticipo gli effetti. Ecco perché dovevo resistere fino a quando non fossi riuscito a fondere una singolarità del presente con la legittima attesa del futuro.

Per questo mi sono occupato di politica, per Te, senza chiedertTi niente, perché avevo il diritto ed il dovere di non vergognarmi. Ed ho combattuto accettando di perdere tutte le battaglie per farTi vincere l’ultima. La Tua. Anche se avevo una probabilità su sei miliardi.

Io non volevo tutto questo, non sapevo che sarebbe stato necessario, quando quella sera, davanti al cancello del cimitero dove è sepolto mio padre avevo giurato con queste due parole: deve cambiare!

Non volevo dedicarmi alla politica, volevo fare dell’altro e, in parte, ho cercato sempre di continuare a farlo. Ma, visto che ho deciso per questa scelta, voglio dirTi almeno come concepisco la politica, quella cosa «sporca» che dovrebbe pesare come un macigno sulla coscienza di chi l’ha sempre gestita.

Concepisco la politica quale mezzo per superare i nostri limiti e come percezione dei problemi materiali, riconoscendo di doverli affrontare per poterli risolvere. La concepisco come idea sulla quale fondare la capacità di trovare soluzioni, come verità effettiva e dimostrata delle cose che non vanno bene e dei mezzi per superare i nostri limiti, come emozione di essere protagonista di una manifestazione di riscatto e di volontà che può derivare solo dalla definizione di obiettivi realizzabili.

La concepisco come strumento di cultura, di scienza, di arte e di lavoro, come azione per incidere sulla realtà, per modificarla, per migliorarla nella libertà ed in modo democratico, secondo il volere dei popoli, incidendo al tempo stesso sulla memoria storica delle cause per le quali l’umanità ha tanto faticato per arrivare fin qui e tanto dovrà faticare per costruire il proprio futuro.

La concepisco come rapidità di pensiero e di azione, ma anche di pazienza nell’attendere chi ancora non ce la fa a rinnovarsi di dentro. La concepisco come coerenza tra pensiero, proposta ed azione, come moralità e come esempio. La concepisco come forza interiore che nasce dalla coscienza dei propri limiti e delle proprie possibilità. E parlo di forza per resistere e per saper reagire e di forza per difendere le proprie idee e la propria coerenza, vincendo la paura.

La concepisco come cambiamento, come miglioramento, perché meritiamo tutti qualcosa di meglio di quello che siamo stati. La concepisco come realismo, come austerità, come rigore e come coraggio di fare le cose giuste, nonostante l’arrendersi possa apparire più facile. La concepisco come responsabilità, come lungimiranza, come alternativa ai conflitti, come libera competizione a fare meglio di prima, come socialità, come civiltà, come programmazione e sollecitazione dell’economia, per risolvere i problemi materiali nel rispetto della natura.

La concepisco come soluzione, come teoria e come prassi, come intuito e come creatività, come trasparenza, come spontaneità e come missione, come discrezione e come umiltà ma anche come sfida agli ostacoli per realizzare uno stato evolutivo ininvolvibile.

La concepisco come esaltazione del futuro basato sulla ragione e sulla considerazione che non siamo stati voluti solo per vivere qualche decina d’anni ma anche per consentire alle nostre energie di sopravvivere a noi stessi in eterno. La concepisco come mezzo per contribuire alla realizzazione della massima responsabilità dell’individuo. La concepisco come umanità e come modestia, perché ciascuno di noi è solo una piccola parte del tutto.

La concepisco come amore. Amore per mia madre, per la mia donna e per i miei figli, per gli amici, amore per la gente, per tutti i popoli, per i nostri vecchi, per i nostri figli e per i figli dei nostri figli fino a Te. Amore per la natura, che ha prodotto quest’unica possibilità di esseri consapevoli. Amore anche per chi ha la responsabilità di aver fatto di tutto per impedire il necessario rinnovamento.

E la concepisco anche come poesia, per ricominciare a guardare negli occhi i nostri figli e non doverli più abbassare dalla vergogna. Per me la politica è stata uno dei mezzi per cambiare il mondo, perché le genti di tutti i popoli possano sperare di essere felici. Più di quanto lo sono stato io, tra sei miliardi di esseri umani, molti dei quali muoiono di fame perché altri fanno finta di non saper cosa farci.

Ora sai com’era, cosa pensava, perché ha agito e perché Ti ha scritto colui che ha proposto il rinnovamento contestuale e programmato dei sistemi sociali, civili, politici, economici, morali e religiosi. Ora sai perché era necessario il rinnovamento.

Ti chiederai perché l’ho fatto. Solo perché era giusto, credimi. Ed io Ti prego di continuare questa fatica, perché ogni generazione ha bisogno di credere nel proprio rinnovamento.

Italia, 11 agosto 1993.

Rodolfo Marusi Guareschi