Egregio Dottor

CARLO AZEGLIO CIAMPI

Presidente della Repubblica

Palazzo del Quirinale

00187 - Roma

 

 

 

Egregio Signor Presidente,

 

mi chiamo Rodolfo Marusi Guareschi, sono emiliano, ho 51 anni e da oltre 25 faccio l’imprenditore. Mi rivolgo a Lei per informarLa su una serie di fatti dai quali sono stato e sono ancora in qualche modo coinvolto.

Nel 1986 ho fondato il Gruppo Carisma, un’organizzazione di 30 imprese che svolgono attività industriali, commerciali e di servizi in diversi settori. Fin dall’origine questa iniziativa si propone il triplice obiettivo di contribuire ad aumentare la produzione delle imprese clienti, di far destinazione la ricchezza prodotta dalle stesse a scopi produttivi e, secondo l’art. 46 della Costituzione, di far partecipare i collaboratori delle società del gruppo alla gestione, ai rischi ed ai risultati delle imprese.

Per realizzare questi scopi, fin dal 1988 sono state adottate nei rapporti commerciali con i terzi procedure previste dalle norme comunitarie ancor prima che venissero introdotte nel nostro Paese. Mediante queste procedure è stato possibile convincere le imprese clienti ad abbandonare i metodi tesi a mantenere sommersi i loro redditi e far dichiarare bilanci veri. La validità delle procedure adottate e pubblicamente dichiarate non è stata riconosciuta dalla pubblica amministrazione che, dal 1989, contesta sistematicamente le relative operazioni, alimentando numerosi procedimenti amministrativi e penali.

Fino ad ora, le commissioni tributarie hanno sempre annullato gli accertamenti fiscali. Non esiste una sola decisione definitiva sfavorevole alle società verificate. Purtroppo, i processi penali hanno preceduto quelli fiscali a causa delle sospensioni previste dai condoni. Per questo motivo ho subito diverse sentenze di condanna, molte delle quali poi interamente annullate per cassazione.

In 15 anni, le società del Gruppo Carisma si sono sviluppate, progettando e producendo macchinari ed impianti di oltre 600 diverse tipologie, con un fatturato di oltre 2.500 miliardi di lire alla fine del 2000. Dal 1991, le assemblee delle società del gruppo hanno assunto delibere irrevocabili con le quali tutti gli utili vengono destinati a promuovere e sostenere iniziative di interesse generale che non prevedono alcun ritorno economico per le società stesse.

Così, nel 1991 è stato impostato il Progetto Stellar, un sistema informativo via etere che consente di ottenere in tempo reale una risposta a qualsiasi domanda per la quale esista già una risposta.

Nel 1992 è stato presentato il Progetto di Rinnovamento, un’ipotesi di riforma contestuale e programmata dei rapporti e dei comportamenti sociali, civili, politici, economici, morali e religiosi.

Nel 1993 è stata istituita la Fondazione Carisma, una associazione che organizza a livello mondiale comitati di esponenti della cultura e della scienza.

Nel 1994 è stata redatta la Costituzione della Repubblica della Terra, una nuova istituzione che si propone un sistema di governo democratico di tutti gli abitanti del pianeta per vivere in pace nel miglior modo possibile.

Nel 1995, dopo cinque anni di ricerche socio-economiche costate alcune centinaia di miliardi di lire, la società holding di partecipazioni del gruppo, Maguro S.p.A., ha elaborato e presentato un Progetto Economico Nazionale per l’occupazione, che prevede la costituzione di 19.070 imprese, in 6.800 comuni italiani, 10.207 delle quali in 2.087 comuni delle regioni Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sardegna e Sicilia.

Nel mese di ottobre 2000, Maguro S.p.A. ha promosso la costituzione di oltre 450 imprese, che hanno programmato nelle suddette sei regioni nuovi investimenti per circa 100 miliardi di lire ciascuna. Queste imprese occuperanno complessivamente oltre 100.000 addetti entro il 2003.

Svolgendo le loro attività, i collaboratori delle società del gruppo hanno incontrato quasi tutti gli imprenditori italiani, ricevendone confidenze relative ai rapporti con esponenti del mondo economico, finanziario, politico, religioso ed istituzionale. Si è così tracciata una mappa dei meccanismi, delle connivenze e dei compromessi sui quali si regge il sistema nazionale.

Dal 1991 il Gruppo Carisma coordina anche l’attività di diverse imprese con le quali non risulta peraltro alcun rapporto societario. La scelta di non apparire direttamente si è resa necessaria a causa dell’estremo accanimento al quale da 12 anni il gruppo ed i soggetti rapportati - imprese, collaboratori, professionisti - sono sottoposti da parte della pubblica amministrazione.

Nel frattempo, un certo numero di operatori economici hanno accettato di partecipare ai nostri progetti a condizione di non apparire personalmente. Si tratta di persone che hanno attività consolidate ed assolutamente lecite sia in Italia sia all’estero e che non possono permettersi di subire polemiche o ritorsioni per effetto della loro partecipazione alle nostre iniziative. È stato così impostato un sistema societario internazionale che consente di svolgere tutte le previste attività attraverso i legali rappresentanti delle imprese senza far apparire la loro base sociale ed economica.

Nel 2000 è stato elaborato il Progetto Holos che prevede, oltre ai progetti programmati in precedenza (Progetto Economico Nazionale, Progetto Stellar, Repubblica della Terra) diverse altre iniziative:

- l’Impresa Universale, un sistema di aziende con sede in 178 diversi paesi che consente di sfuggire alle crisi cicliche;

- il Progetto Eka, un sistema di sicurezza personale mediante il quale ogni persona potrà collegarsi ad una rete di unità di intervento diffuse su tutto il pianeta ed essere rapidamente soccorsa in caso di urgente bisogno;

- il Progetto Pat-Patati, un sistema di circolazione aerea privata di massa con un veicolo a decollo verticale collegato ad una rete di controllo del traffico che garantirà la sicurezza dei voli;

- il Progetto CyberBank, un sistema tele informatico mediante il quale effettuare pagamenti e riscossioni presso qualsiasi banca mediante un semplice cellulare;

- il Progetto Vikraya, un metodo di regolamento delle transazioni commerciali internazionali mediante un sistema di «baratti» imperniato intorno ad un centro consortile di compensazione;

- il Progetto Santi, un metodo per la conversione dell’industria bellica in altre attività produttive tra cui la produzione di meccanismi ed apparati elettro-medicali ed organi artificiali;

- il Progetto Avatar, che prevede la diffusione di un sistema informativo di ricerche che potrà essere utilizzato gratuitamente da enti pubblici e privati per compiere scelte economiche e produttive;

- il Progetto Varga, per la cartolarizzazione dei crediti e la loro trasformazione in titoli quotati da una società che destinerà la liquidità ottenuta partecipando ad imprese alle quali apporterà capitali di rischio;

- il Progetto Intereuro, un’operazione finanziaria mediante la quale vengono concessi prestiti in euro con rimborso in dollari, provocando un allineamento tra le due monete in rapporto al loro reale valore per impedire speculazioni valutarie;

- il Progetto Udaka, con il quale si potrà risolvere rapidamente il problema dell’acqua su tutto il pianeta.

Naturalmente, per promuovere tutte le suddette iniziative non bastano le risorse prodotte dalle società attive. È stato così attivato un progetto finanziario attraverso il quale sono stati aumentati il capitale sociale della società Maguro S.p.A. a lire 1.000 miliardi nel 1999 e quello della società Avatar S.p.A. a 155 miliardi di euro nel 2000.

Nel mese di gennaio 2001 stava per iniziare la costituzione delle ulteriori imprese previste dal Progetto Economico Nazionale per il Sud, quando detta iniziativa è stata bruscamente sospesa per effetto di un provvedimento preso nei miei confronti dalla Procura della Repubblica di Palermo.

Ai primi di settembre 2000 mi sono state presentate da un sindaco di una nostra società due persone che mi hanno chiesto informazioni per trasferire dal Banco di Sicilia tangenti ricevute nel 1984.

Da successivi contatti con una persona della quale non ho mai conosciuto il nome ma che si faceva passare per un funzionario della predetta banca, ho appreso che in effetti non si dovevano trasferire vecchie tangenti bensì fondi pubblici che sarebbero stati sottratti da conti della Regione presso il Banco di Sicilia. Non potendo escludere che tale sottrazione fosse possibile, ho accettato di intrattenere rapporti telefonici con quel mio sconosciuto interlocutore, al quale ho ovviamente dichiarato una versione per lui accettabile circa il mio interessamento, suggerendo anche il modo in cui gestire le somme che fossero state sottratte.

Per verificare la fattibilità delle operazioni richieste dal mio interlocutore ho avviato una serie di contatti con banche e loro consulenti, sia in Italia sia all’estero, presentando naturalmente – non conoscendo i rapporti intercorrenti fra il mio interlocutore e le banche interpellate - la stessa versione.

Alla fine ho concluso che l’operazione non sarebbe stata possibile ed ho chiuso per sempre quel rapporto. Era la sera del 27/9/2000. Le conversazioni telefoniche che ho avuto con quell’interlocutore sono state intercettate dalla DDA di Bologna che stava indagando sulla vicenda ed il 3/10/2000 la Procura della Repubblica di Bologna ha emesso 21 provvedimenti di fermo nei confronti di altri coindagati e disposto tre sequestri probatori, uno dei quali – con l’ipotesi di tentato furto – nei miei confronti.

Ho spiegato ai funzionari di P.G. che hanno eseguito il sequestro come in realtà erano andate le cose. In effetti, non è stato sequestrato nulla di rilevante né avrebbe potuto essere diversamente. Ho chiesto ai funzionari di P.G. di poter informare il magistrato che aveva disposto il provvedimento.

Dopo tre mesi dalla data dell’esecuzione del sequestro, la Procura della Repubblica di Palermo, alla quale il procedimento era stato trasmesso per competenza, chiedeva ed otteneva nei miei confronti un provvedimento di custodia cautelare in carcere sostenendo l’esistenza a mio carico di gravi indizi del reato di cui all’art. 416 c.p.p. e l’esigenza cautelate costituita dal pericolo di reiterazione. Il provvedimento è stato eseguito il 17/1/2001. Alle sei di mattina.

Ero in ufficio. Mio figlio mi telefonò il contenuto del provvedimento. Mi recai nella mia residenza e fui condotto nel carcere di Parma.

In pochi giorni feci predisporre gli elementi atti a dimostrare la mia completa estraneità ai fatti per i quali venivo indagato e fu presentato ricorso al Tribunale del Riesame di Palermo, presso il quale venne fissata l’udienza di discussione per il 29/1/2001.

Nel frattempo, dopo un breve interrogatorio condotto dal G.I.P. del Tribunale di Parma al quale spiegai brevemente la situazione, chiesi ed ottenni di essere trasferito nel carcere di Palermo per essere sentito dal P.M. che aveva chiesto il mandato di cattura.

Si può sintetizzare questo secondo interrogatorio in due fasi: dapprima il P.M. ascoltò la mia narrazione dei fatti, poi chiese se mi fossi dichiarato innocente e, alla mia risposta decisamente affermativa, si mostrò oltremodo ostile, quasi deluso perché non mi ero dichiarato colpevole.

Il ricorso è stato rigettato. Nell’ordinanza del 29/1/2001, il Tribunale del Riesame ha completamente omesso di prendere in considerazione qualsiasi elemento a mio favore ed ha motivato la decisione affermando fatti del tutto divergenti ed opposti rispetto a quanto risultava dagli atti del procedimento. Ë stato proposto ricorso per cassazione.

Il 7/2/2001 ho presentato, manoscritta, una memoria ai sensi dell’art. 299 c.p.p. ed il 10/2/2001 il G.I.P. ha modificato l’originaria misura cautelare con l’obbligo di presentazione alla P.G. nei giorni di lunedì, mercoledì e venerdì.

Contro tale provvedimento il P.M. ha proposto appello, sostenendo che, nonostante l’impugnazione dell’ordinanza del 29/1/2001, su di essa si sarebbe formato il giudicato cautelare. Con una motivazione a mio parere illegittima ed infondata, il Tribunale del Riesame ha accolto l’appello in data 8/3/2001.

Ho presentato nuova istanza di revoca delle misure ai sensi dell’art. 299 c.p.p. portando ulteriori prove della mia innocenza ma il G.I.P. l’ha respinto, sia in considerazione dell’accoglimento dell’appello del P.M., sia disconoscendo la novità degli elementi proposti.

Contro tale rigetto ho proposto appello ma il Tribunale del Riesame, pur invitando il P.M. ad approfondire l’effettiva esistenza di mie responsabilità nella vicenda, dichiarando di ritenere non impossibile il pericolo di reiterazione, lo ha rigettato in data 4/5/2001.

Nelle more dell’appello, il G.I.P. mi aveva concesso per un giorno l’esonero dall’obbligo di presentazione alla P.G. per consentirmi di compiere un viaggio in Israele.

Sono entrato a Gaza, a Betlemme, a Ramallah. Sono andato sul Mar Morto ed ho visto le vallate che lo separano dal Mediterraneo. È possibile portare rapidamente l’acqua nel Negev e nel Sinai. Ciò modificherebbe radicalmente la situazione geo-produttiva di quelle zone e, a prescindere dalla soluzione del problema di Gerusalemme, potrebbe consentire una positiva evoluzione nei rapporti fra israeliani, palestinesi e paesi arabi limitrofi.

Ho proposto nuova istanza ai sensi dell’art. 299 c.p.p. chiedendo al G.I.P. che venisse ridotta la frequenza dell’obbligo per consentirmi di compiere viaggi all’estero oppure che mi autorizzasse ad assolvere l’obbligo presso un ufficio di P.G. o di rappresentanza italiana nel paese in cui mi fossi trovato.

L’istanza è stata respinta sia perché si era formato il giudicato cautelare sulla decisione del 4/5/2001 che non ho impugnato, sia perché non avrei prodotto nuovi elementi. All’istanza avevo allegato una lettera del 27/9/2000, con timbro postale del 29/9/2000, nella quale informavo una persona come erano andate le cose relativamente alla vicenda del Banco di Sicilia. Non avrei mai voluto produrre quella lettera. Non l’avevo fatto nemmeno per uscire dal carcere. Ho dovuto farlo, ora, non per me ma per dovere nei confronti delle iniziative che io stesso ho proposto.

Mi chiedo. Non ho fatto nulla di male. Ho combattuto la delinquenza tutte le volte che ho potuto. Ho sostenuto persone che hanno subito la delinquenza. Mi sono prestato ad una recita per verificare se fosse stato possibile compiere un reato e, in caso positivo, per sventarlo. Ho rischiato e fatto rischiare ad altri le reazioni del mio interlocutore facendogli credere una versione affatto diversa dalle mie reali intenzioni. Ho fatto 24 giorni di carcere, per effetto dei quali ho perso immagine e reputazione e, soprattutto, sono state sospese attività ed iniziative di interesse generale. Alcune imprese che ho gestito sono fallite. È un grande disastro, che coinvolge persone oneste e capaci che sono rimaste ammutolite e deluse.

Ed ora non posso muovermi come dovrei perché ogni 48 ore devo andare a fare una firma, nonostante lo stesso Tribunale del Riesame abbia escluso qualsiasi pericolo di fuga o di inquinamento delle prove. Il G.I.P. scrive che posso autonomamente assumere ogni decisione sullo svolgimento della mia attività lavorativa tenendo conto degli obblighi imposti dalle misure. È come dire ad un corridore che è libero di fare una corsa ma deve farla entro un certo tempo. Abbiamo rapporti con paesi per raggiungere i quali servono ore di volo. È impossibile.

Questa è la legge? Il mio rapporto con la «legge» inizia subito dopo la nascita, quando viene negata l'iscrizione della paternità di Rodolfo Marusi, morto prima della mia nascita, la domenica prima di quella fissata per le nozze con mia madre. Solo dopo 32 anni, su mia richiesta, il Tribunale di Parma ha dichiarato in pochi mesi la paternità naturale.

Il 26/1/1970 il Pretore di Parma mi ha condannato per guida senza patente perché l'anno prima ero stato trovato con il foglio rosa dalla Polizia Stradale al posto di guida dell'auto che mio zio aveva lasciato in sosta di fronte all'ufficio postale nel quale si era recato per fare un versamento.

Il 10/6/1976 il Pretore di Parma mi ha condannato perché nella mia auto non era stato esposto il tagliando dell'assicurazione obbligatoria anche se il relativo premio era stato versato. In data 17/3/1977 il Pretore di Bologna mi ha condannato perché lo stesso fatto si era ripetuto.

Il 19/2/1983 il Tribunale di Parma mi ha condannato per aver distratto nel 1977 circa 300 milioni di lire da una società cooperativa in liquidazione coatta amministrativa e per non averne tenuto la contabilità, pur avendo dimostrato di non aver mai preso una lira, di aver lasciato in magazzino un valore di circa 600 milioni di lire e di aver consegnato la contabilità al commissario liquidatore, come poi ha accertato la Corte d'Appello di Bologna con sentenza del 27/11/1989.

Il 21/1/1987 il Tribunale di Parma mi ha condannato per non aver dichiarato nel 1982 bozze di fatture che avrei dovuto emettere ad una banca che dopo avermi ordinato prodotti per ufficio per un valore di quasi 300 milioni di lire, aveva disdetto l'ordine sostenendo di essersi "sbagliata".

Il 23/10/1987 il Tribunale di Parma mi ha condannato per non avere tenuto dal 1984 al 1986 la contabilità di una società in liquidazione che non svolgeva alcuna attività fin dal 1983.

Il 5/12/1990 il Tribunale di Parma mi ha condannato sostenendo che su una dichiarazione annuale dei redditi avrei indicato importi in migliaia di lire, nonostante fosse evidente che quegli importi si riferivano invece ad unità.

Il 13/2/1991 il Tribunale di Parma mi ha condannato per aver fatto sequestrare, nel 1994, un assegno inferiore a dieci milioni di lire che avevo rilasciato in garanzia ad un fornitore di un'azienda ceramica della quale ero stato legale rappresentante su incarico dello stesso Tribunale di Parma.

L’8/4/1994 il Tribunale di Parma mi ha condannato per avere distratto circa 300 milioni di lire dalla suddetta azienda ceramica e per non aver fatto registrare correttamente la contabilità, pur avendo dimostrato che nessun creditore avesse mai subito alcun danno dalla mia gestione e che non avevo né sottratto né distratto alcuna somma, come ha poi riconosciuto la Corte d'Appello di Bologna con sentenza n. 1743 del 14/11/1996.

Il 15/11/1994 il Tribunale di Parma ed il 24/1/1995 il Tribunale di Modena mi hanno condannato per avere emesso, utilizzato e dichiarato nell'ambito dello stesso gruppo societario fatture per operazioni inesistenti per evadere le imposte, nonostante i beni ed i servizi oggetto di tutte le fatture emesse fossero stati effettivamente ceduti e prestati ed il totale delle fatture emesse riportasse importi superiori al totale di quelle utilizzate, tanto da rendere impossibile qualsiasi effetto di riduzione del carico fiscale, come hanno riconosciuto le Commissioni Tributarie che hanno annullato tutti gli accertamenti oggetto delle sentenze penali e come hanno poi riconosciuto la Corte d’Appello di Bologna e la Suprema Corte di Cassazione.

Il 20/1/1997 il G.I.P. presso la Pretura di Parma mi ha condannato per non aver tenuto dal 1984 al 1996 la contabilità di una società in liquidazione, inattiva dal 1983.

Per diverse di queste sentenze sono poi sopravvenute assoluzioni. Per altre hanno trovato applicazione amnistie, indulti e sospensioni che non hanno tuttavia modificato la sostanza dei fatti e delle condanne.

Non ho mai pensato di essere perseguitato dai magistrati ma ho sostenuto e sostengo che tutte le imputazioni a mio carico erano infondate fin dall'origine e che sono state emesse sentenze in base a presunzioni, senza  approfondire i fatti che mi sono stati addebitati, come si evince dal semplice confronto fra sentenze di condanna e di assoluzione su fatti identici.

Non ho mai avuto coperture. Non mi sono mai fatto difendere da cattedratici di chiara fama. I miei difensori, sapendomi innocente, hanno quasi sempre commesso l'errore di credere che i giudici lo avrebbero immediatamente riconosciuto.

È andata diversamente e, quando mi sono reso conto della situazione, ho è dovuto cercare di rimediare attraverso richieste di revisione tuttora in corso.

Ho sempre avuto rispetto per la «legge» ma penso che tutte le condanne subite siano ingiuste. Credo che la «legge» sia giusta ma che sia stata applicata in modo sbagliato. È accaduto per tante persone. È accaduto anche con me.

D’altra parte, anche la migliore delle leggi, se viene applicata male, resta solo un’idea. La certezza del diritto non deriva soltanto dalla regola ma anche dalla sua applicazione nei casi concreti. Che fare quando le norme vengono applicate in modo illegittimo? La Costituzione prevede la riparazione degli errori giudiziali ma, naturalmente, gli errori debbono essere riconosciuti. In Italia questo processo è improbabile, a causa dei pregiudizi e dei luoghi comuni secondo i quali se una persona è stata più volte condannata non possono essersi sbagliati tutti magistrati che l’hanno giudicata. In tal modo si ingenera una sorta di circolo vizioso difficilmente superabile in sede giurisdizionale.

Ho sempre vissuto di corsa, contro il tempo, per lavorare, per produrre e per promuovere iniziative. Non certamente per interesse personale. Vivo per fare, per dare e soprattutto per essere. Lavorando, ho sicuramente commesso tanti errori, che tuttavia ritengo di aver pagato al di là del dovuto. Soprattutto ho corso molti rischi e credo che sarà così anche in futuro.

Comunque non ho mai commesso reati di bancarotta e reati finanziari né ho mai coltivato rapporti con delinquenti. Non ho mai accusato indebitamente gli altri, anzi,  mi sono sempre assunto personalmente la responsabilità di errori commessi da altri.

Ho dovuto imparare a difendermi, questo sì, perché non è giusto che si continuino ad  ostacolare i progetti che ho promosso e le cose che voglio fare, che sono legittime, semplici, possibili ed utili per tutti coloro che vogliono impegnarsi per vivere meglio.

La realtà giuridica sulla mia persona non coincide affatto con quella effettiva. Non posso riferire e non voglio ostentare una serie di episodi che ho compiuto verso persone, imprese, enti ed istituzioni - in Italia ed all'estero – ai quali ho dato senza chiedere nulla in cambio. Li ripeterei, anzi, sono certo che li ripeterò.

Esisto, certo, lavoro, progetto, produco ricchezza, organizzo e promuovo imprese ed altre iniziative per le quali non è previsto alcun ritorno economico. Opero con i rapporti che in tanti anni ho costruito con persone, imprese ed enti che di me si fidano. Vorrei non avere né elogi né censure. Credo di avere sempre pensato ed agito con responsabilità, senza badare ai costi per me stesso. Continuerò a farlo. Nonostante tutto. Volevo che Lei lo sapesse.

            Con i migliori saluti.

 

Parma-Roma, lì 25 maggio 2001.

 

   Rodolfo Marusi Guareschi

                                                                                        

 

 

 

Rodolfo Marusi Guareschi

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