AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

CARLO AZEGLIO CIAMPI

 

«Non commento le sentenze, tanto meno i commenti alle sentenze … Quello che ritengo mio dovere ricordare è che dobbiamo tutti portare rispetto alle sentenze che i giudici emettono, come è detto dall'articolo 101 della Costituzione, in nome del popolo italiano. Articolo che stabilisce anche che i giudici sono soggetti soltanto alla legge … l'imputato non è considerato colpevole fino alla condanna definitiva. E nel nostro ordinamento abbiamo tre livelli di giudizio … Per me richiamare i princìpi della Costituzione significa invitare tutti al dialogo costruttivo.»

Queste, signor Presidente, sono le parole che Le ho sentito pronunciare ieri, 1° maggio 2003. Va bene. Anche se nel ricordare che dobbiamo tutti portare rispetto alle sentenze Lei, in realtà, ha fatto un commento, rispettiamo pure le sentenze dei giudici. Ma, a loro volta, i giudici, come tutti ed anzi più degli altri cittadini, devono rispettare le leggi. Devono conoscerle. Devono applicarle. Non possono e non devono cambiarle, non possono e non devono inventarle, non possono e non devono interpretarle malamente.

Vorrei anche ricordarLe, signor Presidente, che fortunatamente la nostra Costituzione non stabilisce solo i principi sanciti dall’articolo 101 il quale, per inciso, non dice che «dobbiamo tutti portare rispetto alle sentenze che i giudici emettono» ma solo che «La giustizia è amministrata in nome del popolo» e che «I giudici sono soggetti soltanto alla legge». Eccepire una sentenza non significa mancare di rispetto al popolo. Chi considera che una sentenza sia sbagliata ha il diritto di criticarla, senza mancare di rispetto a nessuno e senza che debba essere tacciato di mettere in discussione l’autonomia e l’indipendenza della magistratura.

La nostra Costituzione, che non abbiamo fatto né io, né Lei, né gli attuali magistrati, prevede ulteriori principi, stabiliti da altri 137 articoli.

Per restare nel tema della giustizia, ne ricordo solo alcuni.

«La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge. Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. Nel processo penale, la legge assicura che la persona accusata di un reato sia, nel più breve tempo possibile, informata riservatamente della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo carico. Il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova.» (articolo 111). Lei pensa che i giudici siano imparziali? Se lo pensa è in errore. È un assioma che non trova riscontro con la realtà. Sa, signor Presidente, quanta gente è stata rovinata da giudizi «parziali»?

«La sovranità appartiene al popolo …» (art. 1) e non ai poteri che lo rappresentano, quindi nemmeno al potere giudiziario.

«La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità …» (art. 2). Fra i diritti inviolabili c’è la libertà. Quante volte viene ingiustamente soppressa la libertà per effetto di iniziative giudiziarie sbagliate, cervellotiche, strumentali più al senso di protagonismo soggettivo dei magistrati che ad esigenze di giustizia?

«Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese. (art. 3). L’esperienza dimostra che non siamo tutti eguali davanti alla legge. Una mia denuncia penale nei Suoi confronti non avrebbe certamente lo stesso effetto di quella che Lei presentasse contro di me.

«L'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute.» (art. 10). Le ricordo che alcune norme stabilite dal diritto comunitario non sono mai state adottate nel nostro Paese. Altre sono state adottate con anni, talvolta decenni di ritardo.

«La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell'autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge. (art. 13). Badi a tutte le parole, signor Presidente, non basta un atto motivato. Bisogna che quell’atto sia emesso nei soli casi previsti dalla legge. Lei può dire che questa sia la realtà? Migliaia di sentenze di cassazione hanno dichiarato legittime decisioni «motivate» anche se non emesse nei soli casi e modi previsti dalla legge.

«Il domicilio è inviolabile. Non vi si possono eseguire ispezioni o perquisizioni o sequestri, se non nei casi e modi stabiliti dalla legge secondo le garanzie prescritte per la tutela della libertà personale. (art. 14). Sa, signor Presidente, quanti sequestri ho ingiustamente subito negli ultimi tre anni? Più di mille. Non crede che, se fossero stati legittimi, dovrei trovarmi in carcere? Sa perché non ci sono rimasto? Perché sono innocente e, nonostante le sentenze, tutti lo sanno. Quei sequestri erano illegittimi. Purtroppo, manca il coraggio di dichiararlo.

«La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili.» (art. 15). Nonostante i numerosi sequestri, da tre anni non mi viene più sequestrata corrispondenza. Non mi spiego questo fatto. Forse non mi si vogliono sequestrare centinaia di lettere di invito di capi di Stato e di Governo di Paesi esteri.

«Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza. Nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche. Ogni cittadino è libero di uscire dal territorio della Repubblica e di rientrarvi, salvo gli obblighi di legge.» (art. 16). Sa che, di recente, del tutto illegalmente, sono stato sottoposto a misure coercitive per due mesi? È accaduto altre volte e – sarà un caso – sempre in concomitanza con le ultime competizioni elettorali. Ed ora, dopo anni da quando ho proposto un progetto economico nazionale per l’occupazione  che prevede oltre 19.000 nuove imprese, in maggioranza al Sud, dopo che ho proposto un programma di trenta iniziative economiche e sociali in oltre 200 Paesi, sono sottoposto al divieto di espatrio. Che cosa si vuole impedire? La Repubblica della Terra. O Dhana, la sua moneta?

«I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per i fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale. Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare.» (art. 18). Non posso più dichiarare di associare alcuno. Altrimenti vengo imputato per associazione per delinquere. Ho dovuto celare prima i rapporti con clienti e fornitori per evitare che fossero aggrediti, poi le imprese che ho fondato per evitare che fossero contestate e diffamate, poi le risorse per evitare che fossero sottratte. Ho anche presentato documentate denuncie su associazioni segrete, come definite dall’art. 1 della legge 25/1/1982, n. 17 ma, inutilmente. Le corporazioni e le lobbies che per interessi personali perseguono obiettivi illeciti e rovinano il nostro Paese sono infiltrate nelle imprese, nella pubblica amministrazione, nelle forze dell’ordine, nelle banche, nella magistratura, fra i professionisti. È una ragnatela di fili radiali, un intreccio sottile e tenace di azioni e di inganni che cerca di irretire e coinvolgere e, quando non ci riesce, fa di tutto per distruggere chi non ci sta.

«Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi.» (art. 24). Tutti possono agire ma non tutti possono ottenere giustizia. Dipende da chi sei, a chi lo chiedi, in che modo, con quali difensori, da chi hai come controparte, da chi la difende e da tanti altre cose che Lei, per le esperienze avute come Governatore della Banca d’Italia, come Presidente del Consiglio e come Ministro conosce certamente meglio di me.

«Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge. Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso. Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge.» (art. 25). Le ultime misure coercitive a mio carico che Le ho citato sono state disposte dalla magistratura di Lecce, una provincia nella quale ho fatto solo due cose: nel 2000, ho fatto acquistare un suolo per realizzare un’impresa ed ho fatto iniziare i lavori di costruzione. Poi, la magistratura di Lecce ha preso tali e tante iniziative (i sequestri, appunto, e non solo) che l’impresa ha dovuto sospendere i lavori ed ora non ci sono più nemmeno le opere già realizzate. In questa vicenda di Lecce, i fatti sono stati confrontati con leggi superate e con leggi entrate in vigore successivamente. Tanto risulta dagli atti.

«L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.» (art. 27). Ecco. E siccome da quasi dieci anni non si riesce a condannarmi definitivamente ed anzi mi sono state revocate alcune condanne precedenti, si adottano misure cautelari reali e personali, in base a supposti gravissimi indizi di colpevolezza che riempiono le pagine dei giornali e, nonostante ciò, ben prima dei termini previsti, le misure vengono revocate. E guardi, signor Presidente, che io, per difendere me stesso e chi mi aiuta, non ho mai usato nemmeno uno di quei 12.500 (dodicimila cinquecento) miliardi di dollari che mi sono stati messi a disposizione per realizzare il programma di cui Le ho accennato sopra.

«I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti.» (art. 28). Vedremo se i funzionari dei ministeri che hanno commesso reati gravissimi ed i magistrati (pure essi dipendenti pubblici) che ne sono stati strumenti saranno condannati, oppure se le recenti condanne non risulteranno essere solo delle eccezioni alquanto interessate.

«L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.» (art. 41). No, signor Presidente, l’iniziativa economica non è libera. Lei lo sa bene. Liberi sono quelli che detengono ed usano una ricchezza assai superiore alla media. È vero che spesso anche loro devono pagare per essere liberi di intraprendere ma lo fanno per ottenere un ritorno superiore a quello che spendono. Gli altri non sono liberi, perché le banche, la burocrazia e tutti quelli che vivono sulle spalle di chi lavora e si rifugiano nel pubblico glielo impediscono. Sicurezza, libertà, dignità umana? Di chi parliamo? Di un terzo, certo non più della metà di chi lavora ed intraprende. E gli altri? Se possono, se ne vanno. Per questo perdiamo le braccia ed i cervelli migliori.

«La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati.» (art. 42). Una volta la proprietà era anche pubblica. Ora di pubblico non sono rimasti nemmeno i monumenti. E Lei lo sa bene, signor Presidente, perché si trovava fra quei pochi che, nei palazzi, sui panfili o su un’isola, hanno deciso le privatizzazioni.

«Ai fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale.» (art. 43). Le imprese pubbliche sono strumentali soprattutto ad occupare quanti costituiscono quel blocco sociale che determina gli esiti elettorali. Lei lo sa bene, signor Presidente. E così mancano l’acqua, l’energia, la ricerca applicata, le strade, le ferrovie. Siamo in ritardo su tutto. Abbiamo solo televisioni ma, ormai, anche per queste, non si distingue più il pubblico dal privato. Basta guardare i programmi. Certo che sono quelli preferiti dagli spettatori. Alienati come sono diventati, cosa dovrebbero preferire? La cultura? La conoscenza? No, meglio trasmissioni più piacevoli, più rilassanti. E così, da noi ci sono più obesi che morti di fame.

«Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende.» (art. 46). Ieri, per la prima volta in Italia, ho sentito qualcuno citare questo principio. Sono anni che propongo iniziative economiche per far partecipare i lavoratori alla gestione ed ai risultati delle aziende. Sa com’è andata? Dopo aver investito miliardi per formare professionalmente migliaia di persone, ho dovuto impostare con essi una sorta di comunicazione riservata, cifrata (con una certa difficoltà, per eludere la sorveglianza di Echelon), per evitare di coinvolgerli in un contenzioso fiscale di 1,3 miliardi di euro. Mi viene contestato che le imprese che ho promosso non hanno dipendenti e che quindi non operano.

«La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l'esercizio del credito.» (art. 47). Dieci anni fa abbiamo stipulato operazioni di costituzione di capitale per i nostri collaboratori. Recentemente abbiano scoperto che il capitale costituito è inferiore alla somma dei versamenti. È andata bene, vero? È incoraggiante.

«Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.» (art. 53). Lo sa, signor Presidente, che secondo gli uffici tributari le nostre imprese guadagnano il 141% di quello che ricavano ed applicano un’imposta sul valore aggiunto dell’805%? Le sembra paradossale? Anche a me, eppure così dicono gli accertamenti fiscali.

«La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere. Il Consiglio superiore della magistratura è presieduto dal Presidente della Repubblica.» (art. 104). Chi controlla se i magistrati applicano la legge? Il popolo in nome del quale amministrano la giustizia? No. Il Parlamento che fa le leggi? No. Le Regioni? No. Il Ministro della Giustizia? No, come vedremo fra poco. Nessuno controlla i magistrati. È l’unico potere che si controlla da solo. Quasi 9.000 magistrati italiani, meno di 16 per ogni 100.000 italiani, applicano le leggi senza alcun controllo. Non ce n’è bisogno? È un assioma illogico. È un falso assioma. I magistrati sono persone normali. Non solo perché come tutti possono sbagliare ma anche perché possono essere proprio sbagliati. E, tuttavia, così deve continuare ad essere. Guai a mettere in discussione la casta, il ceto, la classe. Io mi sono sempre fidato e mi fido ancora della giustizia, nel senso che credo che la maggior parte delle leggi siano giuste e comunque osservo anche quelle che secondo me non lo sono. Ma ciò non significa fidarsi dei giudici. Mi fidavo. Ora non più. Ho avuto fin troppe dimostrazioni, ormai, di ignoranza, di inettitudine e di superficialità che sarebbe masochistico continuare a crederci.

«Spettano al Consiglio superiore della magistratura, secondo le norme dell'ordinamento giudiziario, le assunzioni, le assegnazioni ed i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati.» (art. 105). Il C.S.M. prende provvedimenti disciplinari soltanto quando un magistrato esce dal coro e da fastidio ad altri magistrati. Questa è la triste realtà dei fatti.

«I magistrati sono inamovibili. Non possono essere dispensati o sospesi dal servizio né destinati ad altre sedi o funzioni se non in seguito a decisione del Consiglio superiore della magistratura, adottata o per i motivi e con le garanzie di difesa stabilite dall'ordinamento giudiziario o con il loro consenso. Il Ministro della giustizia ha facoltà di promuovere l'azione disciplinare.» (art. 107). Lei, signor Presidente, conosce gli esiti delle iniziative disciplinari promosse dal Ministero. Secondo Lei sono giuste? Secondo Lei, dimostrano che l’ordine giudiziario sia davvero in grado di compiere quell’autocontrollo che la Costituzione gli garantisce?

«Il Pubblico ministero ha l'obbligo di esercitare l'azione penale.» (art. 112). Questo è uno dei cosiddetti principi «ordinatori», la cui violazione non è sanzionabile da alcuna legge. E così, signor Presidente, l’azione penale viene esercitata quando e come lo decidono i magistrati. A me è accaduto di subire processi per avere denunciato. Così funziona.

«Contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa.» Art. 113). Tutti i cittadini possono presentare ricorsi ma non tutti sono tutelati. Dipende dagli interessi e dai soggetti. E quando la legge viene applicata in modo corretto, se colpisce interessi corporativi si cambia la legge. E Lei la promulga. Senza fiatare.

Questa è la giustizia in Italia, signor Presidente, questo è il modo in cui viene applicata da quei giudici soggetti soltanto alla legge. Continuiamo così. Con un dialogo costruttivo che lasci le cose come stanno. E se si cambia, bisogna farlo in modo che tutto resti come prima.

Auguri.

Maggio 2, 2003.

Rodolfo Marusi Guareschi