Tutti a casa!

I cittadini italiani hanno bisogno di un profondo cambiamento del personale politico e devono scegliere direttamente i candidati uno per uno

Roma, 26 settembre 2005.

Nel 2006, si svolgeranno in Italia le elezioni politiche per il rinnovo della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Ogni partito o gruppo politico, diffonderà un programma e sceglierà i propri candidati. Con le cosiddette primarie, i cittadini potranno partecipare alla scelta del leader di ogni schieramento ma i concorrenti saranno sempre prescelti da partiti o gruppi politici. Soltanto nei collegi uninominali per il Senato potranno essere presentate candidature individuali.

Le dichiarazioni di presentazione delle candidature e delle liste, dovranno essere sottoscritte da un certo numero di elettori. Per presentare i propri candidati su tutto il territorio nazionale, ogni partito o gruppo politico avrà bisogno di circa 250.000 sottoscrizioni, meno del 5 per mille degli aventi diritto di voto. Se fosse approvata la proposta di riforma del sistema elettorale attualmente in discussione in Parlamento, basterebbero 49.250 sottoscrizione per le liste della Camera e 29.875 sottoscrizioni per quelle del Senato, meno dell’uno per mille degli elettori.

Oltre un quarto degli elettori non andrà a votare o voterà scheda bianca. La forza o la coalizione politica che otterrà i maggiori risultati riceverà circa il 45% dei voti validi, quindi non più di un terzo degli aventi diritto di voto. Dopo tanta propaganda, il nuovo Governo riceverà la fiducia da una maggioranza parlamentare formata da deputati e senatori scelti o prescelti da un partito o gruppo politico ed eletti da un terzo dell’elettorato. Ed il programma? Le solite cose. Com’è noto, nessuna forza politica ha mai realizzato più della decima parte del suo programma elettorale.

Nulla di nuovo. Per quasi cinquant’anni la Repubblica Italiana è stata governata da persone scelte dai partiti e negli ultimi cinque anni da persone scelte da un imprenditore che, per rinnovare il sistema dei partiti, ha fondato un proprio partito. Si potrebbe dire che dopo la Resistenza, l’Italia è stata governata prima dai partiti e poi da un ricco imprenditore, passando così dalla dittatura partitocratrica alla dittatura plutocratica e telemediatica. Nella prima Repubblica Romana di 2.500 anni fa, era prevista la dittatura per affrontare le emergenze ma i dittatori erano nominati dal Senato per sei mesi al massimo. Si vede che da decenni l’Italia si trova in continuo stato d’emergenza.

Se non fosse per i problemi della gente, potrebbe continuare così. Ma i problemi irrisolti ci sono, sono gravi, sono impellenti, riguardano la maggioranza dei cittadini italiani e fra poco tempo saranno irrisolvibili. Due terzi degli italiani sono sempre più poveri. Le imprese italiane hanno perso competitività. L’Italia del 2005 è il Paese con il minor sviluppo economico. Lo Stato, cioè la Repubblica Italiana, preleva imposte per quasi la metà della ricchezza annuale prodotta dal suo popolo ed usa queste risorse soprattutto per pagare le spese correnti e gli interessi su quell’enorme debito pubblico che è servito anche per favorire il benessere dei più ricchi.

La situazione italiana è gravissima. Bastano alcuni dati per dimostrarlo: 58,5 milioni di abitanti, dei quali 51 milioni con almeno 16 anni di età; crescita demografica zero; quasi 80 anni di durata media della vita; età media 41,5 anni; 1,4% di analfabeti; reddito ufficiale medio 20.600 euro pro capite; PIL pari al 2,9% del mondo, più un sommerso di oltre il 27%.

Il 2,2% del reddito deriva dall’agricoltura (0,84% del mondo), il 28,9% dall’industria (2,56% del mondo) ed il 68,9% dai servizi (3.35% del mondo); inflazione ufficiale 2,5%, reale oltre 15%; il potere d’acquisto monetario perde il 2,41% l’anno; quasi 24,5 milioni di forze del lavoro, meno del 42% della popolazione, con circa 22,5 milioni di occupati ed 1,8 milioni (7,5%) di disoccupati ufficiali, oltre a 5,8 milioni di altre persone inattive, pur essendo in età da lavoro.

Chi lavora in agricoltura guadagna in media il 3% e chi lavora nell’industria il 42% di chi presta servizi. Quasi 27 milioni di telefoni fissi e 56 milioni di cellulari ma 7,5 milioni di persone vivono sotto la soglia di povertà ed aumentano di oltre un milione l’anno. Oltre 30 miliardi di euro di deficit pubblico annuale, 32 miliardi di euro di spese militari, circa 720 miliardi di euro di debito estero ed oltre 1.500 miliardi di debito pubblico.

Le prospettive? Aumento del PIL zero. Aumento della produzione zero. Produttività media de 25% in meno di quella degli Stati Uniti. Clima fiducia delle imprese e delle famiglie in calo. Bilancia commerciale in passivo di 1,7 miliardi di euro. Le imprese hanno perso più del 20% del mercato estero ed il 10% di competitività. Il costo del lavoro aumenta per effetto dell’altissimo cuneo fiscale per oneri tributari e contributivi. Il costo dell’energia supera del 20% la media europea: la qualità delle risorse umane italiane rispetto all’Europa supera solo quella del Portogallo, mentre si spende per la ricerca l’1% del PIL, la metà della media europea. Gli ostacoli burocratici ed i costi per attivare una nuova impresa sono rispettivamente il doppio e dieci volte la media europea.

L’Italia è al 79° posto (su 194 Paesi) per libertà d’informazione, dopo la Bulgaria, ed al 21° posto dell’indice 2004 di sviluppo umano, dopo Spagna e Nuova Zelanda. I tempi della giustizia sono il triplo dell’India.

E l’interesse geopolitico? Zero. Caduta la «cortina di ferro», non c’è più motivo né per limitare la sovranità nazionale (con le stragi, gli opposti estremismi e la mafia) ma nemmeno per sostenere economicamente e finanziariamente l’Italia come è stato fatto per mezzo secolo. L’Italia è forse più libera ma anche più povera. E sul piano internazionale, è un concorrente da battere o nella migliore delle ipotesi da sfruttare.

Questa è l’impietosa ma vera fotografia del presente e del probabile futuro del nostro Paese. Gli italiani hanno un patrimonio pari ad otto volte il PIL annuale ma tante risorse non producono ricchezza. Continuando così, fra meno di dieci anni il Paese sarà a livello di Africa sub-sahariana. E non solo per la Banca d’Italia.

Ed allora, che fare? Bisogna cambiare, sì o no? Sì, ma non con programmi politici che servono solo a convincere la gente e non saranno mai realizzati. Non facendosi rappresentare da professionisti della politica o da chi si candida perché non saprebbe cos’altro fare o per non finire in carcere. Per affrontare la crisi italiana, non servono grandi progetti ma idee chiare sulle scelte principali per la gente e persone alle quali dare l’incarico di compiere quelle scelte. Il punto essenziale è trovare e scegliere le persone.

Si cambia se si cambiano le persone. Radicalmente. Si cambia se si dice davvero «Tutti a casa». Si cambia se i candidati vengono designati direttamente dai cittadini. Non si cambia con le primarie, soprattutto quando i risultati sono scontati. Si cambia se il popolo lo vuole e si impegna concretamente nella ricerca e nella selezione di nuovo personale al quale affidare il compito di affrontare i problemi reali della grande maggioranza degli italiani.

Non saranno degli specialisti della politica? Mentiranno di meno. Non saranno integrati in un partito? Risponderanno di più agli elettori e saranno più liberi. Non saranno abili oratori? Parleranno di meno e faranno di più. Non si esalteranno all’idea di essere eletti? Terranno di meno al potere e decideranno nell’interesse del popolo. Non avranno un programma preciso? Affronteranno i problemi per quelli che sono. Se vengono dal popolo, li conosceranno meglio di chiunque altro. Non si metteranno d’accordo sulle soluzioni? Per ogni problema non esistono tante soluzioni ma una sola, quella più logica. Adotteranno quella, perché avranno l’onestà e la sincerità che normalmente non hanno quelli che pensano ai loro interessi.

Sembra impossibile? Non è vero. In due mesi, la parte della società italiana che sente l’esigenza di cambiamento, soprattutto quel terzo che non crede più nel voto, può organizzare in ogni collegio elettorale le iniziative attraverso le quali i cittadini possono scegliere direttamente i candidati alle elezioni. Applicando un apposito «Regolamento», la designazione dei candidati si può compiere in due fasi: nella prima fase, ogni partecipante alla designazione indica il cittadino che propone di designare come candidato a senatore e a deputato; nella seconda fase, ogni partecipante sceglie con voto personale e segreto il candidato da designare da una lista formata dai cittadini che nella prima fase risultano proposti dal primo e secondo maggior numero di partecipanti.

Il «Regolamento» può essere adottato anche in caso di riforma del sistema elettorale, poiché in ogni caso alla designazione dei candidati devono poter partecipare tutti i cittadini di tutti i comuni italiani. Certo, le cose non accadono mai da sole. Bisogna agire. Con l’intelligenza e l’orgoglio del nostro popolo, che non può continuare ad accettare passivamente di farsi prendere in giro con qualche promessa dal politico di turno. Si cambia con la dignità. Si cambia con la volontà. Si cambia con la serietà. Si cambia per necessità e per amore.